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La parità salariale è ancora un sogno in Italia?

La parità salariale dal 1944 al 1956

La parità salariale è una questione che affonda le sue radici nel passato e, per comprenderne l’evoluzione, occorre soffermarsi su due eventi importanti per la parità salariale in Italia. Il primo risale al 1944. Ci troviamo nella città di Biella, nota per le industrie tessili ed è proprio qui che industriali ed operai firmano il “Patto della Montagna”. Si tratta del primo atto in EU a sancire la parità dei salari tra uomini e donne. L’obiettivo? Salvaguardare la produzione e la dignità del lavoro, in un’Italia assediata e alle prese con la fame.
La seconda tappa risale al 1956, anno in cui viene emanata la “Convenzione sull’uguaglianza di remunerazione”, venuta alla luce grazie alla fervida attività di associazioni femminili e movimenti operai. Successivamente, nel 1963, vengono dichiarate nulle le “clausole di nubilato” presenti allora nei contratti di lavoro, e le donne possono finalmente accedere a tutte le professioni, pubbliche e private.

La parità salariale oggi in Italia

Nonostante le leggi a tutela dei diritti delle lavoratrici italiane, la completa parità salariale è ancora un miraggio in Italia. Le differenze salariali tra uomo e donna sussistono per più ragioni, alcune legate a fattori storici ma altre semplicemente a stereotipi di genere ormai radicati. In tutti quei casi in cui, a parità di condizioni lavorative, la donna è soggetta ad un trattamento salariale differente rispetto all’uomo, ci si trova di fronte ad una discriminazione.

Che cosa si intende per discriminazione?

È importante anche definire l’atto discriminatorio per capire quando ci si trova di fronte ad una situazione del genere. L’atto discriminatorio è così definito:” ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità (anche adottive) può porre il lavoratore in una delle seguenti condizioni:

  • posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;
  • limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  • limitazione dell’accesso ai meccanismi di avanzamento e progressione di carriera.

Esistono due tipologie di discriminazione salariale: diretta e indiretta. Si parla di discriminazione salariale diretta quando i lavoratori e le lavoratrici ausiliari/e percepiscono salari minimi diversi. Vi è invece discriminazione salariale indiretta se viene assunto un numero maggiore di donne a tempo parziale e il lavoro part-time è meno retribuito.

Quali sono le motivazioni della discriminazione salariale?

Di solito la discriminazione salariale non avviene intenzionalmente. Essa è frutto di stereotipi di genere che attribuiscono alle donne una maggior abilità nello svolgimento di attività domestiche e della cura dei figli. Inoltre, si tende a giudicare le prestazioni lavorative svolte dalle donne con un valore diverso, senza che vi siano criteri oggettivi che comprovano tale diversità. La discriminazione nasce poi negli ambiti in cui i salari non sono fissati in modo sistematico e trasparente e vengono negoziati prevalentemente su base individuale. Le aziende possono ridurre in modo efficace il rischio di incappare in una discriminazione salariale, verificando regolarmente la propria prassi retributiva ed evitando distorsioni di genere nella valorizzazione del lavoro, nella determinazione del salario secondo la funzione nonché nella valutazione della prestazione.

I dati della disparità salariale in Italia

Secondo i dati forniti dall’Istat il nostro Paese si sta muovendo piuttosto discretamente nella lotta al divario retributivo di genere. La percentuale si attesta intorno al 5%, al di sotto della media generale europea.
Nonostante questo dato confortante, la realtà dei fatti è molto diversa.
Infatti la percentuale italiana non tiene in considerazione diversi fattori chiave, come la netta distinzione tra settore pubblico e privato, il tasso di occupazione delle donne e le qualifiche professionali.
Secondo il Censis, le donne occupate in Italia rappresentano il 42% della forza lavoro, quindi in minoranza rispetto agli uomini e molto lontano dall’81% della Svezia. Se guardiamo al settore pubblico, è doveroso dire che l’uguaglianza nella retribuzione è più rispettata. Se però isolassimo la situazione nel settore privato, scopriremmo che il gender pay gap in Italia è di gran lunga superiore.

 

Fonti:

  • https://www.ilmessaggero.it/donna/mind_the_gap/donne_lavoro_dirigenti_parita_di_genere_news-5646539.html?refresh_ce
  • https://www.openpolis.it/parole/che-cose-il-divario-retributivo-di-genere/
  • https://www.ebg.admin.ch/ebg/it/home/temi/lavoro/parita-salariale/basi/cause-e-conseguenze.html

 

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